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L'uomo senza Sonno
Il film l’Uomo senza sonno, titolo originale El
Maquinista- noto anche con il titolo internazionale ingleseThe
Machinist-, è un thriller spiccatamente cerebrale, metaforico e
simbolico, imperniato sul forte disagio mentale che traccia un interminabile
incubo, strutturato dal corpo del personaggio principale che si sfinisce e
da persone che si disgregano dentro fabbriche ed abitazioni
"grigie". Il regista, Brad Anderson, con questa opera ci pone di
fronte al dilemma sulla dualità dell’Essere Umano. Trevor Reznik,
il personaggio principale, sotto la cupezza del cielo, è immerso in un
microcosmo angosciante, in uno scenario degradante dai colori acidi, diviso
fra la solitudine del suo appartamento e l’alienazione sul posto di
lavoro; non riesce a dormire né a mangiare, il suo fisico stremato dalla
mancanza di riposo e di energie è ormai spettrale, cadaverico e sprofonda
nei meandri di una psiche devastata da ricordi luttuosi e traumatici. La
lentezza del film e la musica ben arrangiata contribuiscono a costruire
l'atmosfera tenebrosa, lugubre, pesante e tetra in cui l'attore, Christian
Bale, si muove trascinando il corpo oramai esile, rinsecchito, ossuto e
spigoloso. La sua vita diviene un delirio di sensazioni, si palesano il
disagio, la paranoia, la claustrofobia e la paura, mentre solo due luci
illuminano la storia, due donne: una prostituta di cui è cliente abituale
che è innamorata di lui e che vorrebbe uscire dallo squallore della sua
vita, e una madre abbandonata, cameriera del bar dell’aeroporto, con la
quale dialoga durante la notte cercando il ristoro morale. Per venire a capo
dell’intera vicenda è chiamato a ricomporre il puzzle della sua vita
cercando dentro di sé la verità in un passato che è sepolto nell’inconscio.
Tutto ciò non è altro che il paradigma -il quadro illustrato- della vita
desolata e tormentata che molte persone oggi vivono, in cui le sofferenze,
le paure e le negatività attanagliano, svelano il malessere dell’anima,
minano la mente compromettendo la salute del corpo. Ogni Essere Umano riceve
il "dono", la ricchezza naturale, la vita di cui dovrebbe far
tesoro, ma è difficile non perdersi ed è complicato scegliere la giusta
direzione. Nel film più di una volta si manifesta la "scelta" da
compiere che è anche sinonimo di dualità: nelle fogne con delle frecce che
indicano la direzione A o quella B; oppure nel luna park, all’interno
della Route 666, nella quale durante il percorso popolato da morti,
impiccati, carogne e spettri, il veicolo guidato dal bambino (figlio della
cameriera) che è con Trevor, al bivio vira senza controllo: come
quando non si riesce a controllare il "tragitto" dell’esistenza
che si proietta verso il destino incerto. Nel viaggio della vita un sostegno
- un pilastro - potrebbe consistere in un connubio fondamentale:
Cultura-Educazione, con il quale plasmare l’essere umano, fondando il
substrato sostanziale e l’impalcatura strutturale per conseguire un
individuo speciale e libero. Purtroppo nel tempo le varie culture
occidentali hanno cercato di uniformarlo al "pensiero generale",
alle dottrine e al convincimento: assoggettandolo, incasellandolo,
allineandolo sui "binari".
Il regista del film mette in risalto ciò sopra esposto
mediante riprese illuminanti: il gesto di lavarsi spesso le mani per
purificarsi e decontaminarsi; di specchiarsi mettendo in primo piano il
viso, soprattutto gli occhi che cercano la verità in profondità per
tentare di uscire dal tunnel; di rivoltare il secchio dell’immondizia
rovistando nella sporcizia, di aprire il frigo trovando solo cibi avariati,
di scrivere in continuazione sui post-it da lasciare appiccicati ovunque per
non dimenticare e per capire chi si è, dove si annida l’"altro".
In un mondo viscido, pieno di fango, scivoloso e
articolato com'è all'evidenza di tutti si può perdere l’orientamento. L’Uomo,
tirando avanti nella scarsezza, nell’esteriorità accentuata, nell’imperfezione
e la svogliatezza della condotta, nell’imprecisione e nella
superficialità dittatoriale gira come un’inconsapevole sfera impazzita:
è convogliato, meccanizzato, indicizzato, catalogato, instradato,
incasellato, controllato, ripreso, contato, intercettato, ascoltato,
fotografato, prigioniero, legato e incatenato, imbavagliato, spaesato nel
macrocosmo della vita; annaspa per cercare la giusta via, suda, si ferisce e
piange per trovare lo spiraglio nel quale incunearsi per riprendere fiato e
trovare il bandolo della matassa. Il macrocosmo - il mondo esterno-,
fagocita tutto ed è popolato da multiformi "statue di cera" in
procinto di sciogliersi che si restaurano con fitness, massaggi, lifting,
cerette e bendaggi. " Figure" inzuppate, a volte sommerse, da
sermoni televisivi, invenzioni e finzioni, giornate calde e gelide sul
perimetro del tempo che scorre come mercurio tra pareti di cristallo;
consigliate da urlatori e venditori facili che giocano sapendo di vincere
con dinanzi inebetiti uditori dai timpani atrofizzati e abituati. In casa
apprendono notiziari finiti e indefiniti; nelle strade osservano cani
randagi e auto vaganti su sottofondi musicali estranei. "Comparse"
che percorrono il "viaggio" blindate e corazzate, proteggendosi
per sopravvivere con ombrelli ed egide insufficienti per acque acide che
piovono all'improvviso. Si
viaggia, nel viaggio della vita, con inquilini e passeggeri nevrotici,
isterici, ipocriti, folli, ignoti, dissociati. Tutti questi attori comunque,
plasmati dal vuoto - nel nulla -, cercano appoggi, stampelle e bastoni per
vivere scansando la solitudine, l'insicurezza, le mancanze, nascondendosi
dietro maschere che non fanno ridere e trasudano lacrime e insoddisfazione.
Per questo si cerca di stare vicini riunendosi in gruppi, comitive, nelle
molte comunità di recupero, con il tifo negli stadi, nei santuari empiti,
nei viaggi organizzati.
Sostanzialmente si cerca l’identità. Si aspetta un’
interlocutore per esistere e coesistere, per proteggersi dalle paure, pronti
a reagire. Il vuoto dell’anima però pone delle distanze e le parole
evaporano come gocce d’acqua scaldate dal sole, senza lasciar tracce,
senza un filo conduttore. Tante sono le superfluità che surrogano sicurezze
mancanti: sicurezze che nessuno può dare, certezze che nessuno può
marcare. "Figuranti" lasciati liberi di vedere, guardare,
osservare, partecipare al gioco senza conoscere regolamenti, con regole da
rispettare sotto miriadi di luci abbaglianti, rispettate da punti che di
vista non sono. Sconvolgersi è consentito, anzi suggerito e consigliato…
lasciarsi vivere e niente più, magari vivendo la vita come un deja-vù,
come faTrevor, nella confusione più totale, nella sua
psicopatologia: i suoi occhi che cercano ristoro chiudendosi lentamente per
riaprirsi l’attimo seguente e lo specchio in cui vede riflesse le ossa
sotto lo scarno spessore della pelle sono indicativi del suo stato
psicologico. Nella società moderna, molto evoluta, sviluppata e progredita,
si prova a capire cercando la profondità senza approfondire, dissolvendo
principi ed etica considerandoli sorpassati ed inutili.In più, giustamente,
la nostra cultura è fortemente intrisa, eretta e edificata sui principi
spirituali dettati dalla nostra Religione che sovente, invece, sono sminuiti
per badare ai numeri, in nome dell’evangelizzazione necessaria alla sua
esistenza, svalutando la sua essenza. Di fatto, ovviamente non vale per
tutti, coloro che per vocazione dovrebbero donare l’esempio, operano come
direttori marketing di supermercato senza dare risposte importanti e
basilari, senza indicare la vera direzione per avvicinarsi al Divino:
brandiscono solo veti e divieti che nascondono la profonda insicurezza e la
povertà che il loro animo partorisce; è anche per questo che oggi ci
troviamo a barattare valori primari come la famiglia, la libertà, il
rispetto, l’umiltà, l’uguaglianza, la fratellanza, la giustizia, la
tolleranza con imperfezioni che rischiano di degenerare anche nelle
psicopatologie. L’uomo, non solo nei bisogni pratici, ha esigenza di
"significati", di giustificazioni per vivere una vita serena
altrimenti rischia di avviarsi verso il disfacimento; tanto è vero che, le
richieste di conferma sempre più pressanti, il vuoto e la scarsezza lo
inducono ad essere perennemente in discussione: come nel celebre romanzo
dello scrittore edimburghese Robert Louis Stevenson, Lo strano caso del
dr. Lo strano caso del
dr. Jekyll
e mr. Hyde, in cui si
scindono il bene dal male e si palesa la dualità - la dissociazione-, con
la quale svolgere funzioni oscure che nella società convenientemente
strutturata, stretta da lacci e catene che bloccano il flusso del sangue,
vengono esecrate delle quali però si ha necessità per dare un senso
compiuto e sferico alla vita. La fine della pellicola ci restituisce
Trevor
imprigionato, immerso in un
chiarore abbagliante, scrollato dai suoi pesi interiori, svuotato,
affaticato, ferito e pronto a riprendere quel sonno ristoratore che si è
negato per lungo tempo. L’epilogo della storia fortunatamente evidenzia il
suo apparente, laborioso e complicato riscatto inviando allo spettatore un
sire le preoccupazioni quotidiane,
per conseguire una visione costruttiva e critica della vita, con lo sguardo
rivolto al futuro, prospettando ai giovani un panorama migliore e alle persone
anziane che vivono l'esistenza in modo molto diretto e immediato una vista del
presente più rassicurante.
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2008 - MovieClub, 100 Film da Leggere - Milonga
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